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Italia,

un paese incivile!

(da www.lazioopinioni.it)

 

Sembra, ogni volta che si parla di un altro stato, che si incappi nel consolidato aneddoto per cui “l’erba del vicino è sempre più verde”. Purtroppo sono le condizioni di sperequazione fiscale italiana che ci porta a vedere in quel che invece accade in  altri stati una situazione migliore, più verde, anzi più rosea. E’ ciò che ad esempio succede nei paesi scandinavi dove ad un peso fiscale di circa il 40% gli Stati restituiscono tutto o quasi in servizi funzionanti (istruzione, sanità, giustizia, ordine pubblico, pubblica amministrazione efficiente …) essenziali per soddisfare i diritti fondamentali, e non solo, dell’Uomo Cittadino. Ciò serve pure per poter qualificare un Paese come Stato civile, oltre che in welfare. Paesi nei quali il rapporto col fisco è sostenibile per tutti, corretto, leale, trasparente, semplice. Sai quanto paghi in anticipo e puoi farlo in modo semplice e avrai diritto a tutte le detrazioni previste solo se ne hai veramente titolo.

L’Italia è diametralmente opposta a questi paesi e dunque non è un Paese civile. Si colloca tra i Paesi del quarto mondo. Il tempo inesorabile ci porta già a pensare al “giorno delle tasse” e la maggior parte dei cittadini si appresta a pagare (anche fino al 70%) molte sigle turbolenti (Irpef, Irap, Imu, Tasi, Tari, Iva ec ...) senza sapere se non all’ultimo, quanto si deve pagare (per che cosa si paga invece non si capisce, anzi non si deve sapere). Ma il peggio è che per sapere quanto e come pagare si deve necessariamente passare da un “mediatore linguistico”: il commercialista!  

Questa è la prima di numerose grottesche violazione dei diritti del Cittadino! Se non hai un commercialista (chiaramente ricompensato e profumatamente) non riesci a gestire il rapporto col fisco. Perché il fisco si presenta come incomprensibile, indecifrabile, ostico, sorprendente. Altrove (nei Paesi civili) non serve alcun mediatore. In Italia oltre all’insostenibile peso fiscale, hai l’onere del commercialista. Peraltro pure i commercialisti denunciano da anni una fiscalità incomprensibile e insostenibile, anche se da questo sono gli unici a trarne vantaggi economici (certo, si lamentano perchè potrebbero guadagnare lo stesso lavorando meno! Sic ). Comunque sono inascoltati.

Altra violazione dei diritti del Cittadino è il rapporto assolutamente impari col “fisco”: il contribuente ha solo doveri ma non ha diritti. È un numero di codice fiscale a forma immaginaria di agrume da spremere e magari frullare per sedare il debito pubblico che i vari governanti hanno creato da molti decenni, tutti d’accordo in questo caso facendo finta, al fine di celare la verità, di curare le malattie croniche della nazione quindi della spesa pubblica parassitaria, della gestione mediocre dei patrimoni, dell’elargizione di posti di lavoro agli amici degli amici, delle tangenti …).

Perché non ci si attiene ai diritti esistenti e validi a partire da quelli sanciti dalla Carta costituzionale (riserva di legge, progressività etc.) a quelli ribaditi dallo Statuto del contribuente? Perché  l’Agenzia delle Entrate agisce con potere totalitario, incontrollabile generando così contenziosi numericamente elevati che vanno inevitabilmente ad appesantire il lavoro già in accumulo della giustizia con ulteriori costi per la collettività.

E che dire del principio solve et repete (paga e poi se hai ancora soldi, reclama); del Durc che legittima la Pubblica Amministrazione a non pagare chi non è in regola con l’Inps, l’Inail o altro di simile;  della negazione della compensazione (così il contribuente viene turlupinato due volte: da creditore impotente e poi da debitore vessato); della dilazione in eterno dei rimborsi da parte della P.A.; dell’obbligo di fatturazione elettronica; della giustizia (tributaria, ordinaria e amministrativa) che applica il principio “due pesi e due misure”, condannando pesantemente il privato alle spese legali se soccombe e all’opposto, ma raramente, la P.A.; dell’accertamento “temerario” o ragionevolmente improbabile dell’Agenzia delle Entrate per somme minori (entro qualche migliaio di euro) che suggerisce la convenienza al privato di pagare e non di difendersi, ecc ...

Un’altra seria violazione dei diritti del Cittadino sta nel fatto che a parità di qualità e costo della vita, a seconda del luogo in cui si risiede o si vive, il Cittadino paga aliquote per le imposte locali assolutamente non uniformi ma ben diverse da luogo a luogo.

E ancora che dire qi quest’altra violazione: quella dei contributi previdenziali che violano il principio di uguaglianza e il patto tra generazioni rendendo profondamente diversi chi versa il 10% da chi ne versa il 40%, tra chi ingrassa i titolari delle baby pensioni, dei falsi invalidi e dei politicanti col vitalizio, di chi col retributivo ha coperto solo in minima parte la propria pensione, e di chi è “cornuto e mazziato” come i professionisti intellettuali che pagano i propri contributi e doppiamente pagano con le imposte i contributi altrui erogati dall’Inps!

Infine, perché come si sa il pesce comincia a puzzare dalla testa, non può mancare all’appello della violazione dei diritti del Cittadino neanche l’unione europea. Come?  Con la sperequazione gigantesca fra i vari paesi. Infatti agisce in difformità fiscale perché agevola alcuni Paesi appartenenti a discapito e danno di altri creando così disuguaglianze economiche e sociali.

Come al solito, se qualcuno vuole dire la sua può farlo inviandoci una mail a redazione@lazioopinioni.it oppure a info@lifhlazio.it

 

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